DENIS VILLENEUVE 2013 – 2024
Lo specchio, lo schermo, l’ologramma, il sogno e il potere a ben guardare, ciascuno dei cinque movie di fantascienza firmati da Denis Villeneuve è riconducibile ad un elemento squisitamente meta-linguistico/cinematografico, capace di sintetizzare alcuni dei significati più rilevanti dell’opera in una sola immagine e di fornire al contempo quella stratificazione teorica necessaria a rendere il suo cinema così personale, anche nelle produzioni ad alto o ad altissimo impegno commerciale. Brevemente: in Enemy – la cui aderenza al genere è naturalmente molto marginale e discutibile, ma che scegliamo di considerare alla luce della deriva fantastica del racconto dettata dalle manifestazioni del subconscio – tale immagine è lo specchio, capace di duplicare il personaggio di Jake Gyllenhaal mantenendo nondimeno quella fondamentale dimensione del confronto con se stessi in Arrival l’elemento centrale è invece lo schermo (cinematografico) presente nei gusci alieni e che consente la comunicazione tra Louise Financial institutions (Amy Adams) e gli eptapodi, spalancando il film ad evidenti suggestioni metacinematografiche sul potere del linguaggio (del cinema) in Blade Runner 2049 questa profondità è knowledge invece dalla figura ricorrente dell’ologramma, capace di sublimare tutta la portata spettrale dell’operazione, in cui l’errare incessante del protagonista si configura occur un continuo vagabondare all’interno di spazi decadenti, letteralmente infestati da fantasmi del passato in Dune il perno è invece dato dal sogno («I sogni sono messaggi dal profondo»), inteso sia occur visione da interpretare (quelle che tormentano Paul Atreides, evocazioni di immagini che chiedono di essere decifrate) sia come proiezione nel futuro, desiderio di trovare la propria strada al di là delle rigide maglie imposte dalla successione dinastica. Dune – Parte because of invece, che della prima parte è sia un secondo tempo che un controcampo, ruota evidentemente attorno al concetto di potere («Potere sulla spezia significa potere su tutto»), osservato da numerous angolazioni, che vanno dalle conseguenze del porsi appear guida messianica e militare di un popolo verso una guerra di liberazione, alla preveggenza, e quindi alla necessità di vedere chiaramente e agire di conseguenza, pianificando ogni azione, non lasciando nulla al caso. Traslando il discorso ad un ludico livello meta-, tale consapevolezza è esattamente ciò che si richiede advert un regista impegnato con la produzione di un blockbuster di queste dimensioni, una componente che riflette senza dubbio la portata (emotiva e in termini di responsabilità) nel confrontarsi con un’opera totale occur quella di Frank Herbert riportando invece la questione su un più urgente piano politico, è evidente quanto una narrazione così ampia e stratificata sul potere, declinato nelle molteplici forme del fondamentalismo religioso, del fanatismo propagandistico, del totalitarismo e del colonialismo, ben si presti a letture e interpretazioni perfettamente in linea con la geopolitica contemporanea, facendo di Dune – Parte due il film più puntuale di Villeneuve non solo e non tanto da un punto di vista teorico (in questo, Blade Runner 2049 gli è superiore), ma anche e soprattutto tematico.
DUNE 2024
Un controcampo, si diceva. Pur non tradendo minimamente le fondamenta gettate nel 2021 – anzi, valorizzandole, donando all’intera operazione una complessità che prima restava soltanto in potenza -, questa seconda parte sembra voler ribaltare fin da subito quella solenne staticità che era una delle peculiarità più evidenti del primo film tanto che in Dune – Parte thanks è una sequenza d’azione advertisement introdurre la vicenda. I corpi, allora così pesanti, qui ingannano la forza di gravità e galleggiano nell’aria, salvo poi cadere appear la pioggia che manca su Arrakis e in linea generale, anche for each necessità dettate dal materiale narrativo di partenza, la struttura si fa più tradizionalmente spettacolare, senza tuttavia perdere quella maestosità che nella prima parte riusciva a mascherare una ricerca del respiro del racconto spesso faticosa. In questo secondo tempo – che conclude l’adattamento del primo quantity della saga – Villeneuve si prende molte libertà in più (tra le più importanti: la figura e il ruolo di Alia, il tempo degli eventi e le caratterizzazioni di Chani e Woman Jessica), ma mantiene intatto lo spirito dell’opera, riuscendo da un lato a focalizzare l’attenzione sul tormento interiore del personaggio di Paul e sul peso delle conseguenze del ruolo messianico che è costretto advert assumere (il suo è il viaggio di un antieroe straordinario che cavalca inesorabile verso un finale nerissimo) e dall’altro a restituire pienamente quella stratificazione che caratterizzava il libro di Herbert e che fino ad oggi ne decretava lo position di romanzo sostanzialmente intraducibile. E ancora, è nel fuori campo possibile che risiede la potenza di una place opera di queste dimensioni, nel suo mettere in scena un mondo definito in modo tale da suggerirne la presenza di moltissimi altri, ciascuno con le sue regole e la sua geografia certo, ma soprattutto, ciascuno con la sua luce (il sole nero che assorbe i colori nella straordinaria sequenza su Giedi Primo ne è solo l’esempio più evidente) e con una personalità e una profondità anche architettonica – gli spazi in Villeneuve contribuiscono sempre in modo importante alla costruzione visiva e semantica: si pensi ai casi essenziali di Polytechnique e di Enemy – che al cinema non si vedevano da molti anni. Partendo dall’assunto letterario for each cui Dune for every la fantascienza è ciò che Il Signore degli Anelli è per il fantasy, la vicinanza con la trilogia di Peter Jackson sta in questo, nella riuscitissima restituzione visiva di un universo complesso dalle dimensioni importanti, e non tanto nel tono e nella messa in scena delle battaglie (la dimensione epica dell’adattamento tolkieniano è qui totalmente assente, e non potrebbe essere altrimenti). Senza timore di smentita, un’opera-mondo così personale, di questa portata estetica e linguistica (in Dune – Parte because of ci sono i primissimi piani più belli del blockbuster contemporaneo) e con una competenza drammaturgica tale da riuscire sempre a dare il giusto peso ad una quantità enorme di personaggi e avvenimenti anche attraverso pochissime immagini (gli scontri a because of nel finale si risolvono in una manciata di inquadrature, eppure rimangono memorabili nella loro portata tragica), mancava almeno da Il ritorno del re.
Perché a conti fatti la grandezza di Villeneuve sta nel non accontentarsi di rimescolare in modo pigro le coordinate di mondi precedenti, ma nel generarne finalmente di nuovi. E anche alla luce di una prova occur quella di Dune, quindi nell’adattamento di un’opera talmente saccheggiata da preesistere in qualche modo al film stesso, il regista canadese si conferma uno dei pochissimi autori della fantascienza recente capaci di lavorare sulla definizione di un proprio immaginario, riuscendo a scartare qualsiasi banale pulsione citazionista o nostalgica e a mantenere una coerenza d’intenti anche in progetti molto distanti tra loro (le suggestioni meta- di cui sopra, quel senso di ineluttabilità del destino con cui fare i conti), evitando i vuoti del narcisismo e della spettacolarizzazione epidermica che procede for every accumulo. La tanto decantata vicinanza con la fantascienza di Nolan sta anche qui: così arrive dietro alle sue complesse architetture narrative, l’autore di Interstellar ha sempre parlato d’amore (ma quale freddezza, ma quale vuoto calcolo matematico), dietro alla scintillante superficie estetica del nostro c’è sempre il sentimento, un desiderio di dare peso e forma a personaggi stritolati da dilemmi esistenziali e ricerche identitarie. Il dolore materno di Arrival, il peregrinare intimista di Blade Runner 2049 e ora la sofferenza della predestinazione di Paul e l’amore tormentato tra Paul e Chani, cui basta poche immagini for every manifestarsi: uno sguardo, un bacio sulle dune, un passo a because of sulla sabbia che si trasforma in una danza. Insomma, Dune – Parte owing dimostra ancora una volta che il blockbuster sci-fi secondo Villeneuve è uno spettacolo umanissimo, lontano dalle immagini funeree di Ridley Scott o da quelle nostalgiche di J.J. Abrams o James Mangold, ma anche agli antipodi rispetto alle (straordinarie) visioni submit-umane di James Cameron, con il quale tuttavia sembra condividere quel desiderio di ricondurre il cinema alla meraviglia primigenia delle origini. Avatar come espressione della potenza documentaria dei fratelli Lumière prestata alla fantascienza (il cinema che si spinge talmente lontano da esplorare, letteralmente, altri mondi impossibili e irraggiungibili, abbracciando una narrazione elementare al high-quality di esaltare il puro gesto del guardare), Dune occur riproposizione contemporanea della magniloquenza scenografica e statuaria del kolossal, probabilmente l’unico modo possibile per restituire all’universo di Frank Herbert la sua natura di archetipo. Sono immagini queste, che in epoca write-up-Marvel spalancano nuovi universi e possibilità produttive, contribuendo in modo significativo alla definizione di alt(r)i common e alt(r)e esigenze for every l’intrattenimento su grande schermo, lontani finalmente dalle logiche iper-narrative ed estetiche della fredda omogeneizzazione seriale. Il grande, umanissimo, politico, profondo, impeccabile, puntuale, esaltante, tour de drive di Villeneuve sta lì a dimostrare che nonostante la sovrabbondanza e l’assuefazione del contemporaneo, nel blockbuster è ancora possibile vedere: basta spalancare gli occhi e avere il coraggio di guardare tutta la bellezza e l’orrore.